In precedenti articoli abbiamo parlato del fatto che Internet non dimentica e che la nostra reputazione online va protetta e difesa con attenzione.
Oggi ti voglio parlare di un caso concreto che mi è capitato e di come l’ho risolto.
Si è rivolto a me un cliente, il quale si lamentava che, digitando su Google il proprio nome e cognome, compariva come primo risultato una notizia pubblicata da un quotidiano locale, in cui veniva associato ad un’indagine svolta nei confronti di un suo conoscente.
La notizia risaliva a molti anni prima e il mio cliente nemmeno se ne ricordava, dato che non è più stato minimamente coinvolto in questa vicenda giudiziaria, risultandone completamente estraneo.
Tuttavia da nessuna parte risultava la notizia che egli era rimasto estraneo alla vicenda e, quindi, l’associazione del suo nome e cognome a questi fatti, forniva di lui un’immagine molto negativa. Essendo, poi, un imprenditore alla guida di una grande azienda, l’impatto lesivo di una notizia simile era ancor più accentuato.
L’invio della lettera
Come prima cosa abbiamo inviato subito una lettera al Direttore della testata giornalistica, chiedendo l’immediata rimozione o deindicizzazione della notizia, o comunque qualsiasi intervento atto ad eliminare l’associazione della notizia con il nome del mio assistito.
La testata giornalistica non ha risposto alla mia diffida ma, dopo circa un mese e mezzo dall’invio, facendo una ricerca su Google, la notizia non compariva più.
Dopo qualche tempo, facendo un controllo a campione, mi accorgo che la notizia improvvisamente ricompariva, non più come primo risultato, ma come terzo.
Abbiamo, allora, scritto una nuova lettera, questa volta non solo alla testata giornalistica, ma anche a Google, chiedendo la rimozione del contenuto inopportuno.
Google ha risposto dicendo di non dover cancellare nulla, perché la notizia pubblicata e indicizzata era coperta dal diritto di cronaca e, quindi, doveva rimanere visibile in virtù di un superiore interesse pubblico.
A quel punto ho avvisato il cliente e, valutate tutte le circostanze del caso, abbiamo deciso di ricorrere al Garante.
Il ricorso al Garante
Ho, quindi, provveduto a redigere un ricorso al Garante, citando la testata giornalistica ed anche Google.
Il punto focale della difesa era molto semplice: è vero che il diritto di cronaca risponde ad un interesse pubblico connesso al diritto di informazione, però è anche vero che questo diritto assume un ruolo preminente per un certo periodo di tempo, in concomitanza con l’accadimento dei fatti, trascorso il quale la notizia diventa obsoleta e priva di un apprezzabile interesse per il pubblico.
Erano passati anni dai fatti e dalla pubblicazione della notizia, quindi il diritto di cronaca poteva tranquillamente essere messo da parte, avendo esaurito la sua funzione, soddisfacendo pienamente l’interesse che ne è alla base.
Tolta di mezzo, quindi, ogni implicazione relativa al diritto di cronaca, non restava altro che invocare il diritto all’oblio, ovvero il diritto di essere dimenticato, che non significa sparire del tutto dai motori di ricerca, ma di eliminare notizie o collegamenti lesivi della propria reputazione, soprattuto in questo caso, dove la persona coinvolta era risultata, sin dal primo momento, completamente estranea alle vicende di cronaca in questione.
L’esecuzione spontanea
Prima che il Garante potesse decidere il ricorso, le controparti si sono attivate spontaneamente per ottemperare alle nostre richieste, probabilmente avendo preso atto che le argomentazioni difensive del ricorrente erano inattaccabili.
Così il Garante ha dichiarato il non luogo a provvedere, condannando la testata giornalistica e Google al rimborso delle spese legali.
In conclusione
Per concludere, nello scambio di difese avvenuto dinanzi al Garante, la testata giornalistica sosteneva di aver provveduto già all’epoca della prima diffida a rimuovere la notizia. Ecco spiegato perché per un primo periodo la notizia era completamente scomparsa, per poi ricomparire dopo alcune settimane in terza posizione.
Sembra che la ricomparsa della notizia sia riconducibile proprio alla struttura dei motori di ricerca, che registrano una copia cache di tutti i siti web e che, periodicamente durante i refresh, riesumano notizie cancellate, facendole ricomparire di nuovo alla luce del sole.
Questo caso, veramente accaduto, spiega molto bene come funziona il delicato contemperamento di interessi contrapposti, tutti ugualmente espressione di diritti di rango costituzionale (il diritto di cronaca e il diritto alla vita privata/oblio) e di come la memoria da elefante di Internet non vada d’accordo con i diritti fondamentali dell’uomo legati alla sua vita privata, alla riservatezza ed alla sua reputazione.
Naturalmente tutto questo vale se e nella misura in cui ci sia un diritto di cronaca o di critica, ma nel caso di un’offesa online di natura diffamatoria, entra in gioco la responsabilità penale dell’autore che deve essere invocata entro stretti termini.
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Qui di seguito riporto il testo del provvedimento del Garante sulla vicenda appena narrata.